venerdì 23 gennaio 2009

Demetrio Lucas (Dimitrios Mamaloukas) è nato ad Atene il 11-09-1968 dove vive.
E' Laureato in Filosofia presso l’ universita degli studi di Lecce.
E' uno dei piu promettenti scrittori del genere giallo e noir della Grecia.

Romanzi pubbliccati

1999 Finchè c’e alcool c’e speranza (Oso iparxei alcool iparxei elpida), romanzo, edizioni APOPEIRA (seconda edizione 2000).
Nel 2002 il regista Dimitris Makris ha realizzato un film con il titolo “Finche c’e alcool…” basato sul libro. La produzione era italogreca e le riprese sono state effettuate in Italia e in Grecia. Il film ha partecipato a due festival cinematografici internazionali ed è uscito nelle salle di Atene nel Maggio del 2003.

2003 La grande morte del Votanikos (O Megalos Thanatos tou Votanikou), romanzo giallo, edizioni KASTANIOTIS.

2005 Il sequestro dell’ editore (I apagogi tou ekdoti), romanzo giallo, edizioni KASTANIOTIS.

2007 La bibliotecca smarrita di Dimitrios Mostras (I chameni vivliothiki tou Dimitriou Mostra ), romanzo giallo, edizioni KASTANIOTIS.

2007 La quarta persona (To tetarto atomo) racconto in AA.VV. Delitti Greci (Ellinika eglimata), edizioni KASTANIOTIS. La raccolta 'e traddotta in italiano. (Edizioni Crocetti) info qui.

2008 La solitudine dell'asfalto (I monaxia ths asfaltou), romanzo, giallo, edizioni Livanis

2009 L' ultimo itinerario (To teleytaio dromologio) racconto in AA.VV. L' ultimo viaggio - Undici storie noir (To teleytaio taksidi- Enteka nouar istories), edizioni Metaixmio

2009 Ragazza che ti chiamano Fini (Kopela pou se lene Fini), romanzo, edizioni Livanis

Traduzioni (dall’ italiano)

2006 Michele Giuttari La loggia degli innoccenti edizioni Diigissi

Articoli, critiche letterarie

Dimitrios Mamaloukas scrive nel giornale Avgi tis Kiriakis e nelle riviste letterarie
Diabazo, Index, Na ena milo.

giovedì 22 gennaio 2009

La bibliotecca smarrita di Dimitrios Mostras

Capitoli 3 e 4 tradotti in italiano


Capitolo 3

ALDO

Il pomeriggio seguente ero a casa, mi ero preparato un caffé e mi ero messo a riordinare il salotto radunando i libri da vendere tramite l’annuncio. L’appuntamento con il collezionista che mi aveva telefonato era per le sette. Il suo nome, Aldo Ferretti, mi diceva qualcosa. Dovevo essermi imbattuto in quel nome in qualche catalogo, oppure l’avevo sentito nominare da qualche bibliofilo. Ma probabile che lo conoscessi anche di vista, se frequentava le aste di libri rari, come me. Mi aveva detto che gli interessavano anche i libri stampati in greco, cosa alquanto insolita per un italiano, a meno che non si trattasse di un collezionista molto esigente.
Erano esattamente le sette e cinque quando il citofono squillò. Premetti il pulsante per aprire il cancello, ma dopo mezzo minuto il suono si ripeté.
Chiesi chi fosse e mi rispose una voce maschile.
« Sono Aldo Ferretti, ci siamo sentiti l’altro ieri »
«Si, certo, salga, sono al sesto»
« Purtroppo, non posso, non c’e’ l’ascensore e… io… bloccato…-rotelle ».
Un autobus che passava davanti al palazzo distorse le sue parole, ma riuscii comunque a capire cosa stesse dicendo.
« Un attimo solo, arrivo », dissi e scesi veloce per le scale.
Si trovava all’entrata dell’ingresso seduto su una sedia a rotelle. Accanto a lui c’era una bionda. Erano talmente benvestiti, che sotto la luce della lampada centrale assomigliavano a dei manichini in una vetrina. Mentre mi avvicinavo guardai meglio Ferretti. Aveva un bel viso, dei lunghi capelli biondi pettinati con cura all’indietro e sotto alla gabardine beige indossava un completo sicuramente cucito su misura. Le scarpe erano di fattura artigianale e nuove di zecca. Portava dei guanti speciali dalle punte tagliate, immagino per poter spingere da solo la sedia a rotelle su cui era seduto. La bionda era vestita di nero. Dei pantaloni di pelle aderenti uscivano da stivali dal tacco alto, fasciavano i suoi fianchi per culminare in una pancia scoperta, visto che la giacca leggera che portava sopra era sbottonata. Un piccolo top manteneva fermi i suoi seni, pronti all’attacco. Mi stavo godendo l’esplorazione del suo corpo quando lui mi rivolse la parola e fui obbligato a distogliere lo sguardo.
« Il signor Milano ? »
« Si », dissi sorridendo.
« Aldo Ferretti. Tanto piacere».
Ci demmo la mano.
“Questa è Monique, la mia compagna ».
I suoi occhi erano del blu del cielo più limpido. Mi sorrise a stento, con sforzo, e subito abbassò lo sguardo. Feci in tempo a vedere i suoi seni tendersi sotto il top.
« Come temevo, l’assenza di ascensore ci pone qualche problema. Molti palazzi antichi mi sono stati preclusi proprio per questo motivo ».
« Mi dispiace… »
« Non ne ha alcuna colpa… E ora… immagino sia alquanto improbabile che mi trasportiate su per sei piani… » disse sorridendo, « per cui penso che bisognerà incontrarsi altrove, in luoghi a me più accessibili… »
« Se vuole », proposi, « Mi può dire quali libri le interessano. Li vado a prendere e andiamo in un bar qui vicino ad esaminarli con calma. Ce n’è uno in Largo Argentina, vicinissimo”.
Sembrò esitare.
« Eh, ma… non è la stessa cosa».
Non capivo cosa intendesse.
« Ce ne sono molti che le interessano ? »
« No, no, assolutamente »
« Ma allora… »
Rimase a guardarmi indeciso.
“Non voglio metterle pressione”, dissi tranquillamente. « Se preferisce, lasciamo stare… »
Dalla sua espressione capii che era proprio quello che non voleva. Si voltò verso la bionda e guardandola sembrò quasi chiederle il suo parere. Lei scosse le spalle. Bastò.
« E va bene. Mi interesserebbero i due tomi del Compendio di Chimica di Adito tradotti da Kostantinos Kumas, Vienna 1808. La copia che lei ha menzionato portare l’ ex libris di Dimitrios Mostras ».
« Va bene. Datemi due minuti », dissi e cominciai a salire le scale. Alla prima curva mi voltai verso l’entrata. I loro occhi erano fissi su di me e non so perché dei brutti pensieri si insinuarono nella mia mente.
Ritornai in fretta con i due volumi in una borsa di plastica e uscimmo. Notai solo allora che stava piovigginando. Alla faccia del cattivo tempo che imperversava su Roma negli ultimi giorni, io continuavo ostinatamente a portare il mio soprabito preferito, uno spolverino grigio, anche se sarebbero bastate poche gocce di pioggia per rovinarlo irrimediabilmente.
Camminavamo (Ferretti scivolando) in silenzio, percorrendo la strada pedonale vicino a Largo Argentina, con i ruderi antichi sulla nostra sinistra. Io lasciavo che la bionda ci precedesse, per poterla osservare meglio. Si era abbottonata la giacca nera fino al collo e l’unica occhiata che mi aveva lanciato era tutto fuorché amichevole. Doveva aver superato i trentacinque e il suo passo non era più leggiadro ma guardingo e esitante. Forse non si vestiva sempre così lussuosamente. Forse in altri tempi si muoveva in altre cerchie. Il suo sedere però, come pure il suo seno, erano ancora all’altezza della situazione.
Arrivati al bar, spalancai la porta di vetro e la bionda aiutò Ferretti a passare. Impossibile non catturare l’attenzione della gente, con la sedia a rotelle che percorse lo spazio lasciando strisce umide di acqua sporca sul pavimento bianco.
Ci dirigemmo verso un tavolo comodo sul fondo. Subito arrivò il cameriere. Ordinai un caffè, mentre Ferretti e la sua compagna scelsero una « Perrier ». Sotto la luce più forte del locale potei guardarlo meglio. Era indubbiamente un bell’uomo dai tratti gentili. Aveva spalle larghe, probabilmente un tempo si allenava quotidianamente.
« È di Roma ? » gli domandai un po’ a disagio.
« No, sono del Nord, ma negli ultimi anni abito qui ».
« È da tempo che colleziona libri ? Ho l’impressione di aver sentito il suo nome nell’ambiente dei collezionisti… »
«Abbastanza… Ne ho passate tante, signor Milano, l’invalidità è solo l’apice. I libri sono da sempre la mia passione, ma ora ho imparato a non farmi trascinare e ad agire con buonsenso. Sa, tutto si trova e tutto si sostituisce eccetto le vertebre rotte… Lei… si occupa da tempo di libri rari ? »
« Da circa otto anni, ma l’annuncio su Internet è recente ».
Non mi spinsi oltre e lui non fu indiscreto. In quella arrivarono anche le nostre ordinazioni. Monique bevve un po’ della sua « Perrier » e si scostò un ciuffo dei capelli con grazia. Attesi che mi guardasse. Appena i suoi occhi si posarono su di me ritrasse lo sguardo come colta di sorpresa.
« Bene. Possiamo vedere il suo Kumas?»
Tirai fuori i due tomi rilegati in pelle dalla borsa di plastica. Lui spostò i bicchieri e le bottiglie, li prese e li appoggiò davanti a sé. Li aprì velocemente alla prima pagina. Cominciò a sfogliarli esaminando attentamente ogni segno. In seguito, guardò a lungo gli ex libris di Mostras dietro alla copertina.
« È a posto », disse svogliatamente.
Mi parve come deluso. Mise i libri da parte come se non lo interessassero più. Strano comportamento per uno che per ottenerli si era spinto fino alla mia porta. Scambiò un’occhiata con Monique, bevve un po’ della sua bevanda e disse con indifferenza:
« Quanto chiede? »
« Quanto sta scritto nell’annuncio. Cinquecentocinquanta euro ».
« Va bene », disse senza cercare di trattare. Dopodiché, guardando distrattamente fuori, aggiunse : « Kumas sta cominciando a salire… »
Normalmente l’affare era concluso. Ora doveva solo tirare fuori i soldi e pagare. Ma lui se ne stava a fissare il bicchiere, pensieroso, senza fare alcun gesto. Non riuscii a trattenermi.
« C’è qualche problema ? I libri forse… »
Rispose solo quando Monique gli posò la mano sulla spalla.
« Come? No, no, non c’e nessun problema con i libri… ma se mi permette, vorrei domandarle una cosa… »
« Prego, signor Ferretti ».
« Ha forse altri libri che appartenevano a Dimitrios Mostras ? »
Dovetti pensarci un po’ su.
« Probabile… Non ne sono sicuro ».
« Lei sa chi era Mostras ? »
« Sì, ne ho sentito parlare, credo ci sia anche uno studio su di lui. Era un collezionista e aveva creato una grande biblioteca agli inizi del 19esimo secolo, è così ? »
« Sì, proprio così. Innanzitutto era un collezionista… Vorrei chiederle anche un’altra cosa… Ha forse un altro Kumas che apparteneva a Mostras ? »
Mi ricordavo qualcosa del genere. Un libro che mio padre teneva tra i suoi preferiti.
« Mi sembra di sì ».
Spalancò gli occhi ed ebbe uno scatto nervoso. Al poker non doveva essere un gran giocatore. Monique, al contrario, non batté ciglio.
« Forse i tre volumi dei Beni di Weiland ? »
« No, deve essere un unico volume ».
Aldo Ferretti trasse un profondo respiro e si sforzò di mostrarsi quanto più indifferente poteva. Anche se non ci riusciva.
« La Storia della Filosofia di Tenneman forse ? »
Si, era proprio quello. Ci aveva azzeccato al secondo colpo.
« Mi sembra proprio che sia quello. Dovrei controllare, anche se non è in vendita, fa parte della mia collezione privata ».
Si piegò in avanti abbassando un po’ la voce.
« É sicuro che sia la copia di Mostras ? » disse con impazienza.
« Quasi certo. Dovrei controllare però… Comunque, non ricordo di avere altro con l’ ex libris di Mostras ».
Sembrava eccitato. Monique tese le dita verso la sua mano, ma lui proseguì.
« Non è che si ricorda se, a parte l’ex libris, ci fosse anche una dedica di Mostras ? A suo fratello, Kostantinos ? »
Per la miseria, si che mi diceva qualcosa.
« Si…Forse… Anche se, come le ho detto, è da anni che non lo vedo»
Per quanto Ferretti cercasse di contenersi, il volto gli brillava.
« Non potrebbe fare un salto a prenderlo ? »
Monique gli strinse la mano. Mi parve che gli sussurrasse : « Si è fatto tardi » o qualcosa del genere e lui si rabbuiò. Gatta ci cova. Come la maggior parte dei collezionisti (o meglio, degli pseudo-collezionisti), ero diffidente. Forse avevo parlato troppo. Per guadagnare tempo, decisi di rispondere a mezze parole.
« Adesso ? Innanzitutto, come le ho detto, non è in vendita… e poi… » dissi la prima scusa che mi venne in mente « … devo averlo in Grecia, a casa di mio padre ».
Come attore non ero un granché. Dalla sua reazione capii che non se l’era bevuta. Vuotò il bicchiere di Perrier, respirò profondamente; stavolta la sua voce aveva una sfumatura evidentemente ironica.
« Signor Milano, l’oggetto principale della mia collezione sono libri che facevano parte della biblioteca di Dimitrios Mostras e in particolare quindici delle sedici opere, per la maggior parte delle traduzioni di Kostantinos Kumas, per il quale nutro un certo debole. Dico quindici perché l’ultima opera di Kumas e’ stata pubblicata successivamente alla morte dei due. Finora sono stato fortunato, come oggi con il Compendio di Chimica, e sono riuscito a trovare la maggior parte di essi, tra cui probabilmente il piu importante, i quattro volumi del Trattato di Filosofia. Ma ce ne sono due che sto cercando da tempo, il Compendio di Storia della Filosofia di Tenneman del 1818 e i tre volumi dei Beni di Wieland del 1814.
» Si può quindi immaginare la mia soddisfazione quando riesco a trovarne uno, e perdipiù, uno con una dedica di pugno dello stesso Mostras ».
Scossi la testa affermativamente.
« Lo desidero molto e posso offrirle tre volte il prezzo del suo valore sul mercato. Se poi non fosse in vendita, vorrei semplicemente vederlo ».
Adesso di cose che mi insospettivano ce n’erano due. Primo, che non si era rallegrato per niente per la Chimica che gli avevo portato e secondo, come potesse sapere della dedica.
« Come sa della dedica ? »
Sembrò preso alla sprovvista. Si guardò con Monique e si stropicciò le mani nervoso.
« Da una lettera di Mostras a suo fratello. In un’asta pubblica ho comprato trentadue lettere che appartenevano a Kostantinos Mostras. Quindici erano di suo fratello, Dimitrios. In una accennava al fatto che gli aveva spedito il libro in questione con una dedica. Il fatto che lei ce l’abbia è incredibile. Per questo dico, anche solo vederlo…”
« Le ho detto, probabilmente si trova in Grecia… »
«Se lei vuole avere il libro puramente in quanto testo, glielo posso sostituire con un’altra copia in stato ottimale e, ovviamente, posso colmare qualsiasi differenza lei voglia stabilire”
Cercai di eludere di nuovo e di cambiare argomento.
« Ora che ci penso, le lettere erano in greco, non è vero ? »
« Certo »
« Ed è riuscito a leggerle ? »
Sorrise.
«Vede, ormai, bloccato come sono, ho più tempo a disposizione per lo studio e la lettura. Già sapevo il Greco antico e il Latino (conoscenza imprescindibile per chi ha la nostra passione, il collezionismo di libri, non crede?) ma ora ho imparato anche il Greco moderno… Per di più, ho passato un anno intero in convalescenza a Creta .
Ma ci stiamo allontanando dal nostro tema, signor Milano. Se la copia si trova in Grecia, puo sempre farsela spedire. Vorrei ribadire che la desidero molto e che con la somma che le offrirò non avrà da pentirsene».
Rimasi in silenzio. Seguirono alcuni secondi di intenso imbarazzo.
« Bene, penso che abbiamo finito », disse infine. Tirò fuori dalla tasca un portafoglio di pelle, contò cinquecentocinquanta euro e me li diede. « Offro io, naturalmente. Mi ha fatto veramente piacere, signor Milano… »
« Anche a me », dissi e mi alzai porgendogli la mano.
« Ecco la mia carta da visita. Se permette, uno di questi giorni la chiamo. Potrebbe aver cambiato idea », disse con un sorriso misterioso.
« Come desidera », risposi e mi voltai verso Monique. « È stato un piacere ! » dissi.
Mi diede la mano, su cui si intravedevano le vene e i nervi. Aveva delle dita lunghe, forti, dalle unghie dipinte di una leggera tonalità di rosso. Mi strinse leggermente la mano e contemporaneamente mi sorrise rivelando una fila di denti perfetti e immacolati.
« Anche per me », disse con voce roca e subito si rinchiuse nella sua espressione malinconica.
Me ne andai sotto una pioggia torrenziale ; tempo di arrivare ero letteralmente fradicio. Salii gocciolante i sei piani nella luce astenica delle scale. Aprii la serratura di sicurezza e entrai a casa. Daniela, avvolta in una coperta, stava leggendo un libro seduta sul divano. Mi avvicinai e la baciai vicino alle labbra carezzandole il viso. Lei semplicemente chiuse gli occhi.
Dopo che mi fui cambiato, andai alla grande libreria di quercia, dove conservavo i volumi che costituivano la mia collezione personale. Trovai subito il libro rilegato in pelle e lo aprii velocemente al frontespizio. Lessi senza troppe difficoltà la dedica di Mostras, che, ovviamente, era scritta in greco. Si rivolgeva a suo fratello. Non c’era alcun dubbio sul fatto che fosse il libro che cercava Ferretti.
All’interno della copertina c’era incollato l’ex libris di Mostras, e nella dedica si firmava con le iniziali Δ. M., che corrispondevano al suo nome. Il fatto che non si trattava di un libro molto raro o prezioso minimizzava la possibilità che la firma fosse falsificata. Sì, non c’era alcun dubbio, era uno dei libri della collezione di Mostras, aveva una dedica sua, ma a parte questo, cosa poteva avere di speciale ? Perché Aldo Ferretti lo voleva così tanto?
Trascorsi il resto della serata davanti al computer cercando in Rete delle informazioni su Mostras e sui suoi libri, specie quelli di Kumas. Non trovai granché, ma nella biblioteca pubblica di Kozani, in Grecia, c’era il catalogo di una donazione di Mostras di sessanta libri. Tra di essi c’erano anche i quattro volumi del Trattato di Filosofia di Kumas. Quindi, Ferretti aveva mentito sul fatto che fosse in possesso della copia che apparteneva a Mostras o che Mostras avesse quella specifica opera in doppio e che perciò ne avesse regalata una.
Andai a dormire con la certezza che il giorno seguente avrei ricevuto una telefonata da Aldo Ferretti e che dietro questa faccenda si nascondeva un mistero che bisognava risolvere.

Capitolo 4

Daniela-Pino

Per le strade bagnate di Roma un uomo cammina veloce con passo nervoso. Ogni tanto lancia qualche occhiata di sfuggita attorno a sé. In mano tiene un giornale stropicciato, cercando di apparire come uno dei tanti, un uomo che ha da fare, ha degli obiettivi, una vita.
Ma non è cosi.
Pino è condannato. E lo sa benissimo. Sa di aver oltrepassato i limiti, perché non ha obbedito agli ordini, e capisce che difficilmente sfuggirà ai suoi inseguitori. Ha bisogno di soldi, di un nascondiglio e di una macchina. è riuscito a scappare da Palermo e ad arrivare a Roma. Sperava di trovare aiuto, ma ovunque sia andato, loro erano già lì. L’hanno seguito. Erano sempre dietro di lui. Lo ha visto. Lo ha sentito. D’altronde, anche lui fino a pochi giorni fa faceva esattamente lo stesso lavoro. Quelli che lo inseguono fino a poco tempo prima erano suoi amici. Ma nel suo lavoro (o almeno, nel suo ex lavoro) di amici non ce ne sono.
Pino è (o almeno, era) un killer della mafia. Ormai condannato. E questo perché ha tradito. E i grandi hanno emesso la sentenza contro di lui. Così, ora Pino corre come una lepre inseguita.
Sotto la pioggia battente cambia autobus a casaccio, entra nella metro, cammina. Senza programma. È sconnesso, stanco, bagnato. Almeno, per il momento, sembrerebbe che abbiano perso le sue tracce. Non li vede più, ma sa che è solo una questione di tempo prima che lo ritrovino.
Soldi, nascondiglio e auto. O anche solo una delle tre cose.
Cammina e il suo sguardo incontra una Madonnella in alto su un muro. Con la pioggia che le cade sul viso, trasportata dal forte vento, sembra quasi che stia piangendo. Dopo pochi passi Pino decide di entrare in un vecchio palazzo. è così stanco. Si giocherà tutto per tutto. Sente che la sua mente sta lavorando per raggiungere un unico obiettivo, una direzione. Sente che l’istinto del lupo, della sopravvivenza, lo possiede quasi completamente. Sente che dovrà lottare per salvarsi.
Se necessario, ucciderà.
Sale fino all’ultimo piano, il sesto, e si nasconde in un anfratto nelle scale buie. Guarda il suo orologio. Venti minuti alle cinque. Decide di sorvegliare l’unica porta del piano. La porta di un appartamento.

Daniela guardava la pioggia dalla finestra, si sentιva addosso l’umidità come se stesse per strada. Si trovava di fronte ad una grande decisione. Una decisione che le avrebbe cambiato la vita. Aveva preparato tutto. Ora non rimaneva che trovare il coraggio dentro di sé per realizzarla.
Si accese una sigaretta, aspirò forte e chiuse gli occhi. Ritornó al passato, al suo Paese. Si ricordava ancora quasi tutto. Dalla guerra, che le aveva strappato il padre, fino alla morte di sua madre. E poi, il peggio, la caduta libera. Orfana, l’ aveva presa in consegna uno zio che presto l’aveva spedita a Milano da qualche altro parente lontano. Impossibile dimenticarsi dei quattro anni di martirio in cui visse con lui, finché, senza quasi capire cosa stesse facendo, era salita su un treno ed era arrivata a Roma. Aveva vagato sola, infreddolita e affamata, finche non si era imbattuta in Nicola, il quale l’aveva letteralmente raccolta dalla strada.
Negli ultimi tempi, non passava giorno che non pensasse a sua sorella minore, che aveva lasciato laggiù, in Yugoslavia. Specie da quando aveva realizzato che certe persone potevano aiutarla.
Tutto era cominciato quando per caso aveva incontrato due sue connazionali al supermercato. Ancora non riusciva a capire come le fosse saltato in mente di parlargli. Loro avevano capito subito come stavano le cose. Le avevano spiegato e le avevano dato un numero di telefono. Le avevano detto di chiamare a qualsiasi ora ; e da fuori, non da casa.
Daniela lo aveva nascosto da qualche parte e se n’era dimenticata. Nel suo profondo era convinta che le cose sarebbero migliorate. Ma presto venne smentita e i suoi pensieri ripresero a tornare sempre più frequentemente a quel numero di telefono.
Pochi giorni prima, aveva trovato il coraggio di chiamare. Aveva parlato con una signora gentile, che le aveva detto di andare da loro, nei loro uffici, ma Daniela per pura paura aveva rifiutato. Cosi, la signora le aveva dato un numero di cellulare dicendole che c’era un signore che poteva aiutarla.
L’aveva chiamato una settimana prima. Aveva trovato il coraggio di raccontargli quasi tutto, o comunque, i punti più importanti. E adesso pensava ancora una volta a ciò che quell’uomo le aveva detto di fare. Era tutto pronto. Doveva solo aprire la porta. Trasse un respiro profondo e guardò l’ora. Erano le sette meno venti. Lui era partito alle cinque. Poco dopo, qualcuno aveva suonato alla porta spaventandola a morte. Intimorita, aveva guardato dall’occhiello. Nessuno. Dopo mezz’ora, avevano suonato di nuovo. Stavolta aveva aperto tenendo la catenella. Fuori c’era solo il pianerottolo buio.
Succeda quel che succeda, disse tra sé e sé e spense la sigaretta. Indossò l’impermeabile giallo, prese la borsa di stoffa e aprì la porta. Appena si girò per chiudere, una mano sudata le tappò la bocca e la scaraventò nell’appartamento. Daniela pensò che alla fine sì, la sua vita sarebbe cambiata, ma in peggio. E non aveva tutti i torti.
La spinse con violenza chiudendo dietro di sé la porta. Daniela cadde sul pavimento di legno, ma si rialzò fulminea e si girò verso di lui. Lui le piombò addosso.
Pino pesa centocinque chili. Daniela solo cinquantadue. Il parquet scricchiola sotto i loro piedi. Al muro di fronte è appesa una xilografia originale che raffigura Iano Laskari. Tra le mani regge un volume, molto probabilmente un manoscritto, e guarda come inquieto e teso la scena che si svolge davanti ai suoi occhi. Si direbbe che è in ansia per quelle due creature che tra pochi secondi si scontreranno violentemente, quasi assurdamente.
La logica è assente da questo appartamento nel cuore di Roma esattamente alle sette meno un quarto del pomeriggio. La logica è fuggita dalla mente di Pino. L’angoscia soffoca Daniela nell’istante in cui i loro sguardi si incrociano.
Uno sconosciuto.
Un uomo gigantesco.
Non ho paura. Mi sembra di essere altrove. Sembra che io sia lontano. Non sta succedendo a me.
Una fighetta. Solo una fighetta. Sicuro che si mette a strillare. Non deve strillare. Mi guarda. Mi vede. Nessuno mi deve vedere. Quando faccio certi lavori, non devono esserci testimoni.
Se gli parlo, mi ascolta? Questo gigante è in grado di ascoltare? Cosa vuole da me? Che gli ho fatto?
Daniela. Il suo respire brilla nell’aria calda della stanza mentre le mani come tenaglie di carne si chiudono attorno al suo collo immacolato.
Pino. Dita sporche, ferite. Unghie rotte, cicatrici, tagli, odore di morte. Dita che hanno portato la morte.
Daniela, che e nata appena vent’anni prima. Daniela, con un corpo perfetto che scoppia di salute.
Daniela, che ha fatto l’amore sul serio solo poche volte in vita sua. E ancor meno volte ha provato piacere.
Daniela, che un tempo aveva una sorellina. Che portava l’apparecchio. Per la quale era una dea. E con la quale un giorno forse si rincontrerà.
No, Daniela pensa che non è possibile morire proprio adesso. Deve vivere, per tutti questi motivi.
Davanti a lei c’è Pino.
Pino è un duro. Pino si è beccato il primo schiaffo prima di compiere due mesi di vita. è cresciuto nei riformatori e poi è andato in galera. Pino ha combattuto per non farsi violentare e ci è riuscito. È stato picchiato e ha picchiato senza pietà. Fino alla morte. Pino ha iniziato come sgherro ed è arrivato ad essere un sicario. Sbriga qualsiasi lavoro sporco. Fino ad ora non si è mai tirato indietro.
Adesso, tra le mani possenti e pelose tiene un sottilissimo collo di ragazzina dalla pelle così vellutata, che anche solo un bacio potrebbe lasciarvi un livido involontario. Sente la sua mano sul gomito. Non prova dolore. Solletico, più che altro. Fanno più male i suoi occhi.
Mi chiamo Daniela. Non stringere !
Daniela si rivolta, lotta. Le dita spalancano il giaccone aperta di Pino e affondano in un maglione di lana calda. Si aggrappano, graffiano e tirano decine di fili colorati. Ma Daniela va dove vuole lui. Ogni tanto le sue gambe abbandonano il pavimento. Pino la solleva come una piuma.
Non ho sofferto abbastanza ?
La stringe continuamente mentre emette un brutto odore.
Lei lo sente. Non importa, pensa. Basta che tu non mi uccida. Volge lo sguardo verso la finestra. Vede innumerevoli tetti bui e il campanile solitario di qualche chiesa. Ma vede anche delle luci, infinite luci. Da qualche parte laggiù ci sono delle persone. Da qualche parte laggiù c’ è qualcuno che può aiutarla. A non morire. Ma dov’è ? Ah, se la lasciasse !
Pino. Molta forza, poco cervello.
Pino, con una opinione confusa su ciò che significa vita umana. E su quanto possa valere.
Pino, che sa di essere spacciato. Che si sente perseguitato. Che farebbe di tutto pur di salvarsi. Pino, che ha ucciso altre volte. Che ha fatto cose ben peggiori dal continuare a stringere quel collo quasi infantile.
Daniela, che smette di lottare, vedendo che, se chiude gli occhi, smette di soffocare, smette di soffrire. Si abbandona tra le sue braccia.
Mi chiamo Daniela. E tu ?
Fuori la pioggia continua a cadere con la stessa intensità. Roma, città eterna. Come il male. L’unico suono che si sente nell’appartamento buio di Nicola Milano è quello che fa il corpo esanime di Daniela, quando cade sul parquet di legno.
Pino si asciuga il sudore dalla fronte. Obbliga se stesso a riprendersi. Si esce da un meccanismo di morte e si ritorna umani. Uomini fragili in pericolo. Comincia a frugare in fretta la casa. Dieci minuti alle sette.
Una casa piena di libri. A Pino non fa impressione. Non ha opinione in merito. Non gli interessa. Butta per terra i libri cercando contanti nascosti o qualche cassaforte. Ci mette un bel po’ a cercare in ogni stanza. Alla fine, guarda il bottino che ha racimolato. Pochi soldi e un cellulare. Né carte di credito né bancomat né chiavi d’automobile. Pino pensa che è proprio sfigato. Maledettamente sfigato. Non gli rimane che la ragazza. Si inginocchia su Daniela e comincia a frugare nelle tasche. Un altro cellulare, chiavi di casa con un ciondolo buffo e il portafoglio. Lo apre e ci trova circa cinquecento euro. Prende tutto frettolosamente perché sa di non dover rimanere oltre nell’appartamento. L’occhio cade sulla borsa da donna. Cerca per vedere se ci sono delle chiavi di automobile, ma niente. Butta dentro ogni cosa e la prende con sé. Prima di uscire si sofferma e si volta verso Daniela. Inizia a spogliarla con gesti frettolosi. Vuole confondere gli sbirri. Le toglie l’impermeabile, il pullover, la maglietta. Le abbassa i jeans. Poi le strappa le mutandine e apre con difficoltà il reggiseno. La guarda per un’ultima volta. Persino lui, un assassino che cerca di sfuggire al proprio appuntamento con la morte, non riesce a non provare un brivido di fronte al corpo nudo di Daniela. Poi esce cauto ficcandosi sotto la giacca la borsa di Daniela.
Ha smesso di piovere. Ma le tracce della pioggia sono ovunque. Piano piano la gente comincia ad uscire dai negozi illuminatissimi. Mamme che spingono i bambini nelle carrozzine. Uomini che reggono le ventiquattr’ore e guardano l’orologio. Ombrelli che si chiudono, risate che risuonano. Coppiette che camminano abbracciate. Nicola Milano esce dal bar con addosso lo spolverino. Da qualche altra parte, una signora cortesemente si fa da parte per far passare un signore. Pino non la nota perché il suo sguardo è fisso sull’icona, sulla Madonnella, che pare lo stia guardando con compassione. Sembra che lo perdoni. Si può perdonare tanto ad un condannato a morte, pensa Pino.
Daniela se n’e andata. Ma tutto, intorno a lei, continua ad esistere.

(traduzione di Anthi Keramida)